Opinioni di un clown


di Heinrich Böll


Sono un clown, e faccio raccolta di attimi.

(Pagina 290)

Hans Schnier è un clown. Nella Germania del dopoguerra svolge il suo mestiere con passione, finché la sua amata non lo lascia. Dopo una serata di lavoro andata male, torna a casa e si abbandona a riflessioni sul passato, sul presente, sull’ipocrisia, sull’arte, sull’amore…

Mi spiace dire che questa mia esperienza con Böll m’è piaciuta anche meno della prima. Non che sia un brutto libro, ma non fa per me, l’ho trovato decisamente noioso. Argomenti interessanti ce n’erano molti, infatti ci sono anche alcune parti che mi sono piaciute, però ho trovato il protagonista abbastanza irritante, specie per la sua ossessione per Maria.

Il romanzo non ha una vera e propria trama (e forse anche per questo motivo mi è piaciuto di meno di Foto di gruppo con signora): il racconto copre poche ore della vita di Hans, in cui affiorano molti ricordi, che costituiscono la maggior parte del romanzo. Molti ricordi riguardavano il periodo del nazismo e della Seconda Guerra Mondiale, e sono stati i miei momenti preferiti. Un po’ meno ho amato le sue opinioni sulla religione, perché a tratti diventava ripetitivo e noioso, però anche su questo argomento ho trovato belle pagine.

La nota dolente sono i suoi ricordi su Maria. L’inizio della loro storia non è male, ma il seguito, raccontato tramite episodi casuali più o meno vecchi che gli tornano in mente, è spesso un piagnisteo, e in particolare Hans non fa che dare la colpa a chiunque di avergli portato via Maria, continuando a considerarla testardamente sua moglie anche se non si erano mai sposati, e per di più lei adesso è sposata con un altro. Se all’inizio trovavo la cosa in un certo senso romantica, dopo un po’ ha cominciato a stancarmi, e poi anche ad infastidirmi. Avrei voluto conoscere Maria “dal vivo”, e non solo dai suo ricordi, per farmene un’idea più completa, ma il suo personaggio non compare mai. In realtà sono pochissimi i personaggi che vediamo nel presente, anzi, se non sbaglio di persona non vediamo nessuno, ma con alcuni parliamo al telefono.

Lo so che il romanzo era molto di più, la splendida fotografia della società perbenista e ipocrita della Germania post conflitto (che trova il suo culmine nel personaggio della madre di Hans), però tutto questo per me è passato in secondo piano a causa di questo clown che purtroppo m’è piaciuto assai poco come personaggio.

Insomma, purtroppo questa mia prima lettura per la sfida dei Premi Nobel si è rivelata una delusione. Speriamo che non siano tutti così! ;)

Copertina e titolo

La copertina di questa mia edizione (che è del 1982) mi piace molto. Quella nuova sempre degli Oscar Mondadori è meno bella, secondo me.

Curiosità

Motivazione del Premio Nobel per Böll (1972):
Per la sua scrittura che con la relativa combinazione di vasta prospettiva sul suo tempo e di un’abilità sensibile nella descrizione ha contribuito ad un rinnovamento della letteratura tedesca.

Questo libro costituisce la TAPPA del Giro del mondo in 80 libri: EUROPA, Germania, Colonia
Ecco la cartolina che ho mandato ai partecipanti alla sfida:

Dammi 5 parole

Opinioni non particolarmente entusiasmanti. Peccato.

Il segnalibro che ho usato durante la lettura; è stato realizzato da Porphydo.

Titolo: Opinioni di un clown
Titolo originale: Ansichten eines clowns
Autore: Heinrich Böll
Nazionalità: Germania
Prima pubblicazione: 1963
Casa Editrice: Mondadori
Traduzione: Amina Pandolfi
Copertina: George Grosz, La caduta, 1918
Pagine: 299
Provenienza: Biblioteca, 4 luglio 2011
Link al libro: GOODREADSANOBII
inizio lettura: 10 luglio 2011
fine lettura: 15 agosto 2011

Sfide

Un po’ di frasi

Era già buio quando arrivai a Bonn. Feci uno sforzo per non dare al mio arrivo quel ritmo di automaticità che si è venuto a creare in cinque anni di continuo viaggiare: scendere le scale della stazione, risalire altre scale, deporre la borsa da viaggio, levare il biglietto dalla tasca del soprabito, consegnare il biglietto, dirigersi verso l’edicola dei giornali, comperare le edizioni della sera, uscire, far cenno a un tassì. Per cinque anni quasi ogni giorno sono partito da qualche luogo e sono arrivato in qualche luogo, la mattina ho disceso e salito le scale di stazioni, il pomeriggio ho disceso e risalito scale di stazioni, ho chiamato un tassì, ho cercato la moneta nella tasca della giacca per pagare la corsa, ho comperato giornali della sere alle edicole e, in un angolo riposto del mio io, ho gustato la scioltezza perfettamente studiata di questo automatismo.
[incipit]

Kinkel: Che cos’ha ancora, adesso?
Schnier: I cattolici mi rendono nervoso perché sono sleali.
Kinkel: E i protestanti?
Schnier: Quelli mi fanno star male con quel loro pasticciare intorno alla coscienza.
Kinkel: E gli atei?
Schnier: Quelli mi annoiano perché parlano sempre di Dio.
Kinkel: E lei che cos’è, in conclusione?
Schnier: Io sono un clown.
(Pagina 109)

Vedevo tutto così chiaramente che credevo quasi di esserci già stato per davvero, dal Papa. Sarei stato indotto in tentazione di raccontare a Leo che ero stato dal Papa ed ero stato ricevuto in udienza. In quei minuti ero veramente dal Papa, vedevo il suo sorriso e udivo la sua bella voce da contadino; gli raccontavo come il buffone di Bergamo era diventato il famoso Arlecchino. Leo in queste cose è molto severo, mi chiama sempre bugiardo. Leo si infuriava sempre quando lo incontravo e gli domandavo: «Ti ricordi ancora quando abbiamo tagliato la legna insieme?». E lui gridava: «Ma noi non abbiamo tagliato la legna insieme». E alla sua stupida maniera, del tutto priva di importanza, aveva anche ragione.
(Pagina 214)

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