Norwegian Wood

Tokyo Blues
di Murakami Haruki


Mah, in una cosa sicuramente noialtri siamo normali. Nel fatto che almeno sappiamo di non esserlo.
Reiko

(Pagina 194)

La mia prima esperienza con Murakami è stata senz’altro positiva. Il romanzo non mi ha convinta del tutto, forse perché dopo aver sentito osannare così tanto quest’autore mi aspettavo qualcosa di diverso, ma è stata comunque una bella lettura.

Il protagonista/narratore, Tōru Watanabe, ricorda il periodo della sua giovinezza, verso la fine degli anni ’60, quando non riusciva a trovare la sua strada, e si lasciava vivere coltivando poche e strane amicizie, inconsapevole di stare compiendo il faticoso passaggio all’età adulta.

Iniziare una recensione mi riesce sempre difficile per diversi motivi, spesso perché ho un sacco di che cose da dire. Stavolta la difficoltà è ancora maggiore perché questo libro mi ha suscitato sentimenti contrastanti durante la lettura. Ero davvero molto curiosa di leggere finalmente un Murakami, dopo aver sentito parlare così tanto di questo autore. Forse troppo, perché ho paura che le mie aspettative fossero troppo alte, mi aspettavo, non so, magari un libro che dal primo rigo mi catturasse e affascinasse impedendomi di pensare ad altro e non riuscendo a smettere di leggere. Invece, considerato quanto tempo c’ho messo, si vede che non è stato così. Mentre leggevo c’erano giorni in cui mi dicevo “sì, ho capito perché Murakami piace così tanto, il suo modo di scrivere ti cattura!” e altri in cui invece mi chiedevo “si, vabbè, ma… che ci dovrei trovare di interessante nella storia di ‘sti ragazzi disturbati, sfigati e depressi?”.
Facciamo così, andiamo per ordine e vediamo punto per punto quello che questo libro mi ha trasmesso.

L’ambientazione è quella del Giappone della fine degli anni ’60. Le rivolte studentesche, le lezioni all’università, i Beatles, le ragazze, il collegio, i locali… passano un po’ in secondo piano, ma non spariscono, hanno la presenza necessaria a dare l’idea di quel mondo, ma siccome Watanabe si disinteressa spesso di quello che lo circonda, anche noi le vediamo da lontano queste cose. Eccetto quando salta fuori qualcosa che gli interessa veramente, come le bellissime pagine in cui parla di Euripide al padre di Midori: un brano troppo lungo per riportarlo in questo post (se vi interessa, potete leggerlo QUI), ma che ho davvero amato moltissimo, appassionata come sono di teatro e di letteratura antica.

Lo stile di Murakami l’ho trovato allo stesso tempo qualcosa di familiare, e qualcosa di nuovo. Le descrizioni delle scene mi parevano a volte eccessivamente piene di particolari, specie considerando che si tratta di un racconto fatto quasi vent’anni dopo: come fa Watanabe a ricordarsi che “in quel momento un cane abbaiò” oppure “passò una ragazza con una maglia arancione”? Però ciononostante l’impressione che avevo leggendo era di ricordi “veri”, non realistici, proprio veri, come se non fosse un romanzo ma un’autobiografia. Comunque mi è piaciuto molto: leggere le pagine di Murakami, a prescindere dal romanzo in sé, è stato un vero piacere!

I personaggi non sono molti, e sono tutti parecchio strani! Ma, come dice saggiamente Reiko nella citazione che ho scritto in alto, sapere di essere strani è l’unica cosa normale per loro.
Tra i vari personaggi spicca sicuramente (almeno per me) Midori, nome che conosco da diversi anime della mia infanzia (Midori è la migliore amica di Mimì e l’amico di Toshio in Creamy) ma che solo ora ho scoperto significa verde: davvero un bel nome! Ma non è questo che mi ha colpito di lei. Midori è una ragazza non convenzionale, fin dalla sua prima apparizione si mostra spigliata e senza peli sulla lingua, e soprattutto si fida di Watanabe immediatamente, tanto da iniziare subito a raccontargli di sé, del suo passato, dei suoi pensieri. Ogni tanto l’ho trovata un po’ odiosa, specie nell’ultima parte, e il fatto che ne abbia passate tanto non riesce ai miei occhi a giustificarla del tutto, ma il suo carattere così senza freni me la fa se non amare almeno comprendere anche nei momenti di antipatia. Lei e Reiko sono stati i personaggi che ho più amato nel romanzo.

La trama è forse la cosa che mi ha preso di meno. La storia, volendola raccontare per sommi capi, sarebbe assai breve, ma si snoda attraverso episodi quasi quotidiani. Questa caratteristica con me è molto rischiosa, perché può essere spesso la causa di un voto molto basso se leggendo non faccio che sbuffare in attesa di sapere come va avanti la storia principale, mentre i progressi latitano. Con questo libro non è stato così, ulteriore prova a favore della bravura di Murakami, se mi ha fatto apprezzare davvero molto una particolarità che spesso non mi piace.
Cos’è allora che non mi è piaciuto tanto? Innanzi tutto non ho potuto fare a meno di notare una certa affinità con l’unico altro autore giapponese che conosco, ovvero Banana Yoshimoto: anche qui, come in quasi tutti i libri della Yoshimoto, si parte con un lutto, una morte avvenuta prima dell’inizio della storia, che inevitabilmente ha segnato il protagonista. Per quanto i due autori siano molto diversi, questa “comunanza di pensieri”, se così posso chiamarla, a proposito della morte mi ha fatto all’inizio storcere un po’ il naso, pensando “ma allora non è la Yoshimoto, sono proprio i giapponesi che hanno ‘sta fissa!”.
L’altra cosa poi è quello che dicevo prima: la storia di questi ragazzi pieni di problemi, che si trovano a dover portare sulle spalle pesi più grandi di loro… bè – opinione personalissima! – non è proprio una cosa che mi interessa! Se avessi saputo che il tema del libro era questo, forse non l’avrei mai scelto tra quelli di Murakami. Questo dimostra quanto è piacevole a volte prendere in mano un libro senza avere idea di quale sia il suo contenuto, perché mi sarei persa una lettura che comunque ho molto gradito!

Quando mi mancavano alcune decine di pagine alla fine del libro, ho cominciato ad avere paura che non avesse un vero e proprio finale, che sarebbe finito così di botto, lasciando in sospeso azioni e vicende. I miei timori erano parzialmente fondati, in quanto in effetti la narrazione termina proprio nel bel mezzo di una telefonata, ma il finale non lascia comunque quel senso di insoddisfazione che temevo, la vicenda si è conclusa, il percorso di formazione del protagonista è giunto a termine, e alla fin fine direi proprio che questo finale m’è piaciuto molto! Una piccola curiosità insoddisfatta però mi è rimasta: che ne è stato di Sturmtruppen? il compagno di stanza di Watanabe non torna più al collegio dopo le vacanze, e di lui non si sa più niente!

Commento generale.
A fine lettura ero molto indecisa sul voto da dare a questo romanzo. Per questo non mi sono messa subito a scrivere la recensione, mi sono lasciata un po’ di tempo per assimilarlo, e ho capito che non potevo dargli meno di quattro stelline. All’inizio avevo però pensato di abbassargli il voto in decimi di mezzo punto, dargli un sette e mezzo per via di quella perplessità che non mi aveva abbandonato per parte della lettura, ma alla fine mi sono resa conto che era probabilmente dovuta alle aspettative di cui parlavo all’inizio, e non mi è sembrato giusto penalizzare il romanzo per questo motivo! :)
A quanto ho capito questo romanzo è molto diverso dagli altri di Murakami, quindi ora sono ancora più curiosa di leggerne altri e scoprire se la sua bravura unita a una tema meno deprimente possa davvero conquistarmi in toto e meritarsi le 5 stelline!

Copertina e Titolo
La copertina è bella, ma non particolarmente accattivante. Personalmente basandomi solo su quella non avrei mai comprato il libro. Il titolo è bello e particolare. Ho provato ad ascoltare la canzone dei Beatles da cui proviene, spesso citata nel romanzo: non la conoscevo, e con un così breve ascolto non so neanche dire se mi piaccia o no. Di sicuro, comunque, sono contenta che il libro abbia ripreso il suo titolo originale, perché se non ho capito male quello messo in questa edizione come sottotitolo (Tokyo Blues) è il titolo con cui inizialmente il libro era stato pubblicato in Italia.

Curiosità
La mia edizione contiene anche una nota dell’autore scritta nel 2006, in cui Murakami ci racconta che questo libro è stato scritto per intero fuori dal Giappone, per la maggior parte a Roma. E’ una cosa che, devo ammettere, mi ha fatto uno strano effetto! Pensare poi che il primo titolo che Murakami aveva scelto (poi cambiato quando il romanzo è diventato più ampio di come l’aveva immaginato all’inizio, e quel titolo non bastava più) era Il giardino sotto la pioggia, scritto proprio così, in italiano. Sarà una scemata, ma questa vicinanza fisica e “linguistica” con l’autore proprio nel periodo della sua creazione mi ha fatto sentire il libro più vicino.

Bonus
Eccovi, per chi non la conoscesse, o anche per chi volesse riascoltarla, la canzone che dà il titolo al libro:

Dammi 3 parole

Bello nonostante tutto

Scheda del libro


Titolo: Norwegian Wood
Titolo originale: ノルウェイの森 (Noruwei no mori)
Autore: Murakami Haruki (sito ufficialebiografia)
Nazionalità: giapponese
Anno prima pubblicazione: 1987
Ambientazione: Giappone, 1968-70
Personaggi: Tōru Watanabe, Naoko, Midori Kobayashi, Reiko Ishida, Nagasawa
Casa Editrice: Einaudi
Traduzione: Giorgio Amitrano
Copertina: Foto Masaaki Toyoura / Stone/ Gettyimages / Laura Ronchi
Pagine: 379
Link al libro: IN LETTURAANOBIIGOODREADS
inizio lettura: 6 gennaio 2013
fine lettura: 30 gennaio 2013

Un po’ di frasi

Avevo trentasette anni, ed ero seduto a bordo di un Boeing 747. Il gigantesco velivolo aveva cominciato la discesa attraverso densi strati di nubi piovose, e dopo poco sarebbe atterrato all’aeroporto di Amburgo. La fredda pioggia di novembre tingeva di scuro la terra trasformando tutta la scena, con i meccanici negli impermeabili, le bandiere issate sugli anonimi edifici dell’aeroporto e l’insegna pubblicitaria della Bmw, in un tetro paesaggio di scuola fiamminga. È proprio vero: sono di nuovo in Germania, pensai.
[incipit]

Capisco che in fondo a poter riempire quel contenitore imperfetto che è la scrittura, sono solo ricordi e pensieri altrettanto imperfetti.
(Pagina 12)

Di persone strane nel corso della mia vita ho avuto modo di incontrarne e conoscerne tante da aver perso il conto, ma non ho mai trovato uno più strano di lui. Aveva letto talmente tanto che come lettore io non potevo neanche accostarmi a lui, ma di regola non prendeva in mano un libro se lo scrittore non era morto da almeno trent’anni. Come fai se no a fidarti? diceva.
Watanabe a proposito di Nagasawa
(Pagina 40-41)

Non sono affatto d’accordo che per il mondo contemporaneo esistano problemi più seri di quelli proposti dalla tragedia greca.
Il professore di “Storia del dramma 2”
(Pagina 76)

— […] L’aspetto migliore di questo posto è che qui tutti ci aiutiamo a vicenda. Siccome siamo tutti consapevoli di essere imperfetti, cerchiamo di aiutarci. E negli altri posti ciò non avviene, purtroppo. Negli altri posti un medico rimane sempre un medico, e un paziente un paziente. Il paziente chiede l’aiuto del medico, e il medico glielo concede. Invece qui noi ci aiutiamo tutti a vicenda. […] Tu aiuterai Naoko, e Naoko aiuterà te.
— Ma come dovrei fare, concretamente?
— La prima cosa è pensare che vuoi aiutare l’altra persona. E che anche tu hai bisogno del suo aiuto.
Reiko e Watanabe
(Pagina 129)

— Conosco la differenza tra le persone che sanno aprire il loro cuore, e quelle che non sanno farlo. Tu sai aprirlo. Ma solo quando dici tu, beninteso.
— E se uno lo apre cosa accade?
— Si guarisce.
Reiko e Watanabe
(Pagina 133)

Le sue storie del passato sono tutte più o meno su questo stile. Senza un filo di dramma, ma sempre un po’ eccentriche. A sentire i suoi racconti, ci si può fare l’idea che in Giappone da cinquanta sessant’anni a questa parte, non sia successo nemmeno l’evento più insignificante. Dell’incidente del 26 febbraio o della Seconda guerra mondiale lui ti dirà: «Ah, già, è vero, me ne ero quasi dimenticato».
Midori a proposito del padre
(Pagina 252-53)

La vita è una scatola di biscotti. […] Hai presente quelle scatole di latta con i biscotti assortiti? Ci sono sempre quelli che ti piacciono e quelli che no. Quando cominci a prendere subito tutti quelli buoni, poi rimangono solo quelli che non ti piacciono. È quello che penso sempre io nei momenti di crisi. Meglio che mi tolgo questi cattivi di mezzo, poi tutto andrà bene. Perciò la vita è una scatola di biscotti.
Modori
(Pagina 323)

Quando tutto attorno è buio non c’è altro da fare che aspettare tranquilli che gli occhi si abituino all’oscurità.
Reiko
(Pagina 331)

Per quanto uno possa raggiungere la verità, niente può lenire la sofferenza di perdere una persona amata. Non c’è verità, sincerità, forza, dolcezza che ci possa guarire da una sofferenza del genere. L’unica cosa che possiamo fare è superare la sofferenza attraverso la sofferenza, possibilmente cercando di trarne qualche insegnamento, pur sapendo che questo insegnamento non ci sarà di nessun aiuto la prossima volta che la sofferenza ci colpirà all’improvviso.
(Pagina 349)

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4 pensieri riguardo “Norwegian Wood

  1. La morte è un tema frequente nella letteratura giapponese perché è un modo per osannare la vita, detto questo non molti libri di Murakami partono con un lutto, anzi credo che Norwegina Wood sia l’unico. Norwegian wood è la versione del romanzo di formazione di Murakami ed è lontano da tutta la sua produzione. Restano però stile e scrittura come anche i personaggi “strani”, sempre un po’ troppo distanti per potersi immedesimare ma per me restano sempre affascinanti e suggestivi… la prossima volta leggi Dance dance dance!

    1. La canzone la sto ascoltando più adesso che ho finito il libro che prima! Avrei voluto familiarizzarla per entrare meglio in sintonia con romanzo, ma me ne dimenticavo sempre!

      Non vergognarti comunque di non aver letto Murakami, se no devo farlo anch’io che ho iniziato solo ora! :)
      Neanche ricordo perché ho scelto questo per cominciare. Forse proprio perché mi piaceva il titolo…

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