Nemico, amico, amante

di Alice Munro


Anni fa, prima che tanti treni su linee secondarie venissero soppressi, una donna dalla fronte alta e lentigginosa e una matassa crespa di capelli rossi, si presentò in stazione per informarsi riguardo alla spedizione di certi mobili.
[incipit di “Nemico, amico, amante”]

La mia prima esperienza con Munro non è stata particolarmente entusiasmante, probabilmente anche a causa del fatto che quasi mai riesco ad apprezzare appieno i racconti.

Nove racconti che contengono altrettanti ritratti di donne comuni, tra speranze, tradimenti, difficoltà, insoddisfazioni.

Il primo racconto è quello che dà il titolo all’intero libro, ed è il racconto che mi è piaciuto di più. Forse anche per questo il mio giudizio finale sul libro non è positivo, perché da allora in poi è stato una delusione. I vari racconti partono da episodi sempre diversi, raccontano vite diverse, ma la trama m’è parsa grossomodo simile: la voce narrante di una donna ricorda in prima persona uno o più episodi del passato collegati a qualche altra persona e/o a qualche avvenimento del presente. Non sono proprio tutti così (un paio, se non ricordo male, hanno un narratore esterno), ma grossomodo. Questa però non è necessariamente una cosa negativa, perché le varie vicende raccontate sono poi molto diverse tra loro, però mi ha trasmesso durante la lettura una sorta di sensazione di monotonia.

L’ambientazione è piacevole, e nuova, per me. Siamo infatti in Canada, in diverse città, o in campagna. I luoghi sono ben descritti e in alcuni racconti anche piuttosto presenti all’interno della narrazione.

Lo stile ha alcune particolarità: si passa dal parlare di un personaggio ad un altro con velocità, perché come dicevo i racconti sono per la maggior parte scritti come se una persona ricordasse il passato, quindi anche se non è proprio un flusso di coscienza ci sono salti di palo in frasca seguendo i pensieri della narratrice. Questo rende il racconto molto sentito, ma anche più confusionario.

I personaggi sono pochi, ogni racconto si concentra su uno, massimo due di loro. Nessuno mi è rimasto particolarmente impresso, ma non penso fosse questo lo scopo dell’autrice, visto che si parla di storie molto comuni, domestiche direi.

Commento generale.

Nel complesso ho trovato questo libro interessante, ma non mi ha entusiasmato. Probabilmente parte della colpa è da attribuirsi al genere del racconto che, salvo poche eccezioni, non fa per me. Lo stile dell’autrice, col flusso di ricordi che pian piano ricostruiscono un episodio o un personaggio, in teoria mi piace, ma in pratica durante la lettura mi ha a volte confuso, a volte annoiato, e solo raramente affascinato.

Ora come ora non saprei dire se mi va di leggere altro di quest’autrice. Se non ha scritto solo racconti, potrei.

Copertina e titolo

La copertina è carina, con la foto a tutta pagina, come piace a me. Non mi ha colpito però particolarmente. Il titolo è come al solito sbagliato, o per meglio dire, incompleto. Il titolo originale infatti era Hateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage che significa “Odio, Amicizia, Corteggiamento, Amore, Matrimonio”, un titolo che si adatta molto di più al racconto omonimo (il primo) che dà il titolo alla raccolta.

Mini recensione in 4 parole

Racconti quotidiani poco entusiasmanti

Women di Thombolaa

Titolo: Nemico, amico, amante
Titolo originale: Hateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage
Genere: racconti
Autore: Alice Munro (biografia)
Nazionalità: canadese
Prima pubblicazione: 2001
Ambientazione: Canada, XX secolo
Casa Editrice: Einaudi
Traduzione: Susanna Basso
Pagine: 315
Link al libro: GOODREADSANOBII
inizio lettura: 22 marzo 2013
fine lettura: 2 luglio 2013

Sfide

Un po’ di frasi

Una volta lo aveva lasciato. Per un motivo fortuito abbastanza insignificante: insieme a un paio di Giovani Detenuti (lui li chiamava Yo-yo) si era ingozzato di una torta allo zenzero appena sfornata che lei intendeva servire quella sera dopo una riunione. Inosservata – almeno per quanto riguarda Neal e gli Yo-yo – era uscita di casa ed era andata a sedersi sotto la tettoia chiusa su tre lati sullo stradone, alla fermata dell’autobus che passava due volte al giorno, diretto in città.
[incipit de “Il ponte galleggiante”]

Alfrida. Mio padre la chiamava Freddie. Erano cugini e avevano abitato in due fattorie vicine, poi, per un certo periodo, nella stessa. Una volta erano fuori, in un campo di stoppie, a giocare con il cane di mio padre, che si chiamava Mack. Il sole, quel giorno, non riusciva a sciogliere il ghiaccio in mezzo ai solchi. Loro due lo pestavano per sentire il bel rumore che faceva sotto i piedi.
[incipit di “Mobili di famiglia”]

Amava l’opera, lui, e l’Amleto di Laurence Olivier, ma per le tragedie della vita di tutti i giorni, con il loro squallore, non aveva tempo.
“Mobili di famiglia”

Nina aveva ripreso a giocare a tennis nel tardo pomeriggio, sui campi del liceo. Per un certo periodo li aveva boicottati, dopo che Lewis aveva lasciato la scuola, ma ormai era passato quasi un anno e la sua amica Margaret, altra insegnante a riposo il cui pensionamento, tuttavia, a differenza di quello di Lewis, era avvenuto in modo tranquillo e cerimonioso, l’aveva convinta a tornare.
[incipit di “Conforto”]

…si genuflettono strepitando preghiere rivolte a un Vegliardo abitatore del cielo che ha molto a cuore le sorti di guerre e partite di calcio.
“Conforto”

Nell’estate del 1979, entrai in cucina, a casa della mia amica Sunny nei pressi di Uxbridge, Ontario, e vidi un uomo in piedi davanti al tavolo di lavoro, intento a prepararsi un tramezzino al ketchup.
[incipit di “Ortiche”]

Ogni albero aveva a sua volta un atteggiamento e una personalità – l’olmo sembrava sereno e la quercia minacciosa, gli aceri cordiali e semplici, il biancospino scontroso e decrepito.
“Ortiche”

Lionel raccontò loro come era morta sua madre.
Aveva chiesto il necessario per truccarsi. Lionel le teneva lo specchio.
[incipit di “Post and Beam”]

Guardò in alto verso l’orologio dell’Ufficio postale e si rese conto che stava per incominciare lo sceneggiato radiofonico che tutti i giorni lei e sua madre ascoltavano. Era preoccupatissima, non perché si stava perdendo la storia, ma perché si domandava cosa sarebbe successo alle persone della vicenda, con la radio spenta, se lei e sua madre non l’accendevano. Era più di una semplice preoccupazione, era autentico orrore, al pensiero di come le cose possano andare perdute, possano non accadere, in virtù di un’assenza fortuita o del caso.
“Post and Beam”

Mai fino a ora, fino a quel preciso momento, Lorna aveva visto con altrettanta chiarezza di aver sempre contato sulla possibilità che succedesse qualcosa, qualcosa che cambiasse la sua vita.
“Post and Beam”

In una stanza d’albergo a Vancouver, Meriel da giovane si sta infilando un paio di guanti estivi bianchi.
[incipit di “Quello che si ricorda”]

– Forse dovresti smetterla di chiamarmi così, – disse Queenie quando ci incontrammo alla Union Station.
E io: – Così come? Queenie?
– A Stan non piace, – disse. – Dice che gli fa venire in mente un cavallo.
[incipit di “Queenie”]

Quando passai accanto alla finestra del soggiorno che si affacciava sul viottolo di casa, sentii della musica. Non era del tipo che avrebbe ascoltato Queenie. Ma quel genere di musica complicata che ci capitava di sentire dalle finestre aperte di casa Vorguilla – musica che esigeva un ascolto attento e poi non arrivava da nessuna parte, o per lo meno non abbastanza in fretta. Classica, insomma.
“Queenie”

Fiona abitava in casa dei suoi, nella città dove lei e Grant frequentavano l’università. Era una grande villa con finestre a bovindo che a Grant pareva al tempo stesso lussuosa e trasandata, con i tappeti storti sul pavimento e la vernice del tavolo mangiata dagli aloni delle tazze.
[incipit di “The Bear Came over the Mountain”]

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