L’eleganza del riccio

di Muriel Barbery

Titolo originale: L’Élégance du hérisson
Anno: 2006
Casa Editrice: e/o
traduzione di Emabuelle Caillat e Cinzia Poli
pagine: 319
sito ufficiale dell’autore: Muriel Barbery
L’eleganza del riccio su aNobii

Questo libro partecipa alle sfide delle pagine, A PUNTI e dell’Arcobaleno.

Ho deciso di leggere questo libro dopo averne sentito parlare QUI.

[le strisce colorate sono spoiler, selezionare per leggere]

«Marx cambia completamente la mia visione del mondo» mi ha dichiarato questa mattina il giovane Pallières che di solito non mi rivolge nemmeno la parola.
Antoine Pallières, prospero erede di un’antica dinastia industriale, è il figlio di uno dei miei otto datori di lavoro. Ultimo ruttino dell’alta borghesia degli affari – la quale si riproduce unicamente per singulti decorosi e senza vizi –, era tuttavia raggiante per la sua scoperta e me la narrava di riflesso, senza sognarsi neppure che io potessi capirci qualche cosa. Che cosa possono capirci le masse lavoratrici dell’opera di Marx? La lettura è ardua, la lingua forbita, la prosa raffinata, la tesi complessa.
[incipit]

Trama:
La narrazione procede mostrando due punti di vista, quello di Renée, portinaia di un elegante palazzo parigino, e quello di Paloma, dodicenne “troppo” intelligente inquilina del suddetto palazzo. Entrambe nascondono un universo personale che tentano di celare al prossimo, entrambe amano la lettura, la bellezza e la cultura giapponese. Entrambe hanno l’eleganza del riccio: «fuori protette da aculei, una vera e propria fortezza, ma dentro semplici e raffinate come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti».

Perché una camelia può cambiare il destino.

Questa frase a pagina 288 può secondo me considerarsi il riassunto di questo libro. Un libro che mi ha fatto faticare parecchio nel dargli un voto.
Innanzitutto le due protagoniste: la portinaia e la bambina. La prima mi piaceva molto, la seconda un po’ meno: anche se a volte diceva cose interessanti, mi stava sulle scatole. A parte questo, per buona parte del romanzo mi sono un po’ annoiata, leggevo con un certo interesse, ma mi chiedevo: “dove vuole andare a parare?”. Poi, con l’arrivo di Kakuro Ozu nel palazzo e nel romanzo, tutto si è fatto più accattivante, e ho iniziato a leggere con sempre maggiore interesse, senza bisogno di vedere “parare” niente! Quindi la seconda parte è stata sicuramente da almeno 3 stelline, anche 3 e mezza a volte, come per esempio quando si parlava di Tolstoj e dei romanzieri russi, che io adoro:

Kakuro mi spiegava che gli piacciono i romanzi di Tolstoj perché sono “romanzi universo” e poi perché si svolgono in Russia, paese in cui agli angoli di ogni podere c’è una betulla e dove, durante le campagne napoleoniche, l’aristocrazia ha dovuto reimparare il russo perché parlava solo francese.

Come sono d’accordo con Kakuro!!! ^_^ Anche se questa cosa delle betulle non l’avevo mai notata!
In particolare, comunque, si parla nel libro di Anna Karenina, romanzo che invece a me non è piaciuto molto, ma è stato comunque divertente riconoscere la citazione dell’incipit quando Madame Michel si fa scappare «Le famiglie felici si assomigliano sempre l’una con l’altra» e Kakuro le risponde «Ogni famiglia infelice lo è in modo particolare.».
Insomma, alla fine, quindi, optiamo per le 3 stelline, visto che la seconda parte del libro ci è piaciuta molto? Insomma, non sono convintissima. Perché per esempio la storia della portinaia che legge Tolstoj o testi di filosofia di nascosto, perché non è roba da portinaie, mi ha dato un po’ sui nervi. Cioè, lei sostiene che gli inquilini del suo palazzo non tollererebbero, o meglio, non concepiscono proprio una portinaia che esce così fuori dagli schemi, una portinaia colta. Questo però significa che lei stessa, come anche altri personaggi positivi del romanzo, è comunque convinta che non siano “da portinaia” certe letture, che la sua sia quindi un’eccezione. E purtroppo credo di pensarla anch’io allo stesso modo. Non è ugualmente brutto generalizzare così, pur accettando e apprezzando le eccezioni?
Inoltre alcune parti, quelle delle menate filosofiche, mi rompevano parecchio (io e la filosofia non andiamo d’accordo).
Quindi, che si fa, 2 stelline?
No, non riesco. Comunque mi è piaciuto molto. Se fosse stato il contrario, se avesse avuto un inizio bello, pur con qualche noiosità, e poi una seconda parte deludente, allora avrei anche potuto dare 2 stelline. Ma da un certo punto in poi il romanzo mi è piaciuto molto, sempre di più man mano che leggevo, e pazienza quindi per le note negative e anche per il finale, con la morte di Madame Michel. E’ è stata una piacevolissima lettura, che mi ha lasciato pensieri, riflessioni, dubbi e soprattutto tanta voglia di vedere Le sorelle Munekata e Black Rain – Pioggia sporca, di conoscere le opere di Pieter Claesz, di giocare a go e di rileggere Anna Karenina (infatti ho già inserito il libro nella sfida delle riletture!).

Mi alzo curandomi di trascinare i piedi, infagottati in pantofole così convenzionali che solo la coalizione della baguette e del basco potrebbe sfidarle nel campo degli stereotipi.

La vera novità è ciò che non invecchia nonostante lo scorrere del tempo.
Setsuko nel film “Le sorelle Munekata”

Tolgo lo spago e strappo la carta. E’ un libro, una bella edizione rilegata in cuoio blu scuro, ruvido al tatto, molto wabi. In giapponese, wabi significa “forma nascosta del bello, qualità, raffinatezza mascherata di rusticità”. Non so esattamente cosa voglia dire, ma questa rilegatura è inequivocabilmente wabi.

C’è talmente tanta umanità in questa capacità di amare gli alberi, talmente tanta nostalgia dei nostri primi stupori, talmente tanta forza nel sentirsi insignificanti in mezzo alla natura… sì, è proprio questo; l’evocazione degli alberi, della loro maestosità indifferente e dell’amore che proviamo per loro da un lato ci insegna quanto siamo insignificanti, dall’altro invece quanto siamo degni di vivere, perché siamo capaci di riconoscere una bellezza che non ci è debitrice.

Che cosa fa l’Arte per noi? Dà forma e rende visibili le nostre emozioni e, così facendo, conferisce loro quell’impronta di eternità che recano tutte le opere le quali, attraverso una forma particolare, sanno incarnare l’universalità degli affetti umani.

Il segnalibro è stato realizzato da Piccolamimi.

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