Guerra e Pace – libro II, Parte Quarta

Una voce segreta ci dice che, se siamo oziosi, siamo anche colpevoli. Se all’uomo fosse possibile trovare un modo di vivere in forza del quale, pur essendo in ozio, si sentisse utile e adempiente al dovere, ritroverebbe almeno un aspetto della felicità primordiale. E di questa condizione d’ozio obbligatorio e incensurabile si avvale appunto di un intero ceto: il ceto militare. Proprio in quest’ozio obbligatorio e incensurabile è sempre consistita e consisterà la principale attrattiva della carriera militare.

Inizia con una presentazione non delle migliori il giovane Rostov in questa parte. Se il ragazzo finora non mi stava antipatico nonostante tutto, stavolta mi ha davvero deluso! Non vuole tornare per pigrizia (la descrizione della condizione di ozio dei militari sembra cucita addosso a lui – s’è dimenticato pure di Denisov!). Poi torna, solo per non combinare niente!
Per non parlare poi della caccia! Nella discussione del gruppo di lettura s’era parlato molto del povero orso di Pierre e Dolochov, che dire ora di questa crudeltà? Poi, francamente la trovo veramente stupida! Si considera di aver preso l’animale se lo uccide uno dei propri cani o uno dei propri cacciatori! Boh!
E Tolstoj sembra non voler dare tregua a Rostov in queste pagine: quando il ragazzo sembra aver tirato fuori gli attributi, aver preso una decisione (poi, buona o cattiva, è cosa opinabile) nei confronti di Sonia, ecco che leggiamo che Nikolaj non poté, o credette di non poter sopportare che la madre offendesse Sonja, perché lui ne è innamorato…. o almeno così gli sembrava! Mah, chissà che combinerà ancora!
Un po’ piatta questa parte, a parer mio, specie a confronto con le emozioni della precedente. Il pezzo più bello è stato per me quello in cui i fratelli Rostov, dopo la caccia, vanno a casa dello zio. Tutta quella “russità” mi è piaciuta un sacco!

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