Lasciami entrare


di John Ajvide Lindqvist

Titolo: Lasciami entrare
Titolo originale: Låt den rätte komma in
Genere: horror
Autore: John Ajvide Lindqvist
Nazionalità: svedese
Prima pubblicazione: 2004
Ambientazione: Svezia, anni ’80
Personaggi: Oskar, Eli
Casa Editrice: Marsilio
Traduzione: Giorgio Puleo
Pagine: 461
Provenienza: Webster.it, 11 settembre 2009
Link al libro: GOODREADSANOBII
inizio lettura: 3 dicembre 2019
fine lettura: 10 dicembre 2019


Blackeberg.
Fa pensare a quei dolci rotondi di pasta di cocco, magari fa venire in mente la droga. Una vita decente. Si pensa alla metropolitana, ai sobborghi. Poi probabilmente non viene in mente nient’altro. Anche lì, come dappertutto, ci abita della gente. È per questo che il quartiere è stato costruito, perché le persone avessero un posto dove abitare.
Non è un luogo cresciuto in modo naturale, no. Qui, tutto è stato predisposto sin dall’inizio. La gente ci è andata a vivere non appena tutto era pronto. Edifici di cemento, scagliati nel verde.
Quando questa storia ha inizio, il quartiere di Blackeberg esisteva già da trent’anni. Si potrebbe pensare allo spirito dei pionieri. Al Mayflower, a una terra sconosciuta. Sì. Immaginare case vuote che aspettano la gente.
Ed eccola che arriva!
Passando sul ponte di Traneberg con il sole e le visioni davanti agli occhi. L’anno è il 1952. Le madri portano i loro piccoli in braccio e spingono le carrozzine o li tengono per mano. I padri non portano zappe e badili, ma elettrodomestici e mobili funzionali. Con tutta probabilità stanno cantando qualcosa. Forse l’Internazionale. Oppure un salmo, a seconda del credo religioso.
Il quartiere è grande. È nuovo. È moderno.
Ma non è andata così.

[incipit]

Oskar ha dodici anni, è vittima di bullismo da parte di alcuni compagni di classe, il sabato consegna volantini pubblicitari per guadagnare qualche soldo, vive solo con la madre, e non ha praticamente nessun amico. Una sera, nel parco vicino casa, conosce Eli.

Dire che questo è un libro sui vampiri, è veramente riduttivo. C’è tutto, qui dentro. Amicizia, amore, crescita, rapporto genitori-figli, difficoltà nel tirare avanti, scuola, lavoro, accettazione del diverso, bullismo, sociopatia, droga, pedofilia, prostituzione, omicidio… la vita, la morte. E i vampiri, comunque, sì, ci sono anche loro. E ancora una volta rimango sorpresa da come un bravo autore possa tirare fuori qualcosa di nuovo da un tema così “antico”. Mi piace moltissimo la versione di Lindqvist di questo mito, a partire dalla particolarità che dà il titolo al libri: i vampiri non possono entrare in un luogo chiuso se non invitati da qualche essere umano. Da brava fan di Buffy ne ero a conoscenza, nel telefilm infatti c’è una barriera invisibile che impedisce ai vampiri di entrare in casa. In questo libro invece la necessità dell’invito è un’altra: se un vampiro entra senza essere stato invitato, comincia a perdere sangue da tutto il corpo, da ogni singolo poro, e poi, immagino, muore.

Inoltre, come non subire il fascino di un vampiro che vola? ;) No, non è che si trasforma in pipistrello, si fa spuntare le ali (membranose, come quelle appunto di un pipistrello, se ho capito bene) non sulla schiena, ma tra le braccia e il corpo. E poi la coscienza, il senso di colpa, che spinge molti vampiri ad uccidersi per non dover più uccidere… Insomma, anche se non c’è nessun elemento veramente “nuovo”, la mescolanza che ne fa Lindqvist crea dei vampiri che sono “suoi”, particolari, interessanti, affascinanti!

Il segnalibro dedicato al libro realizzato da me.

Soprattutto, però, sono i personaggi ad aver catturato la mia attenzione e padroneggiato le mie emozioni mentre leggevo. Tutti quanti, senza eccezione, almeno per qualche momento, mi hanno permesso di identificarmi, anche i peggiori, umani, umanissimi anche loro. Lindqvist ci fa entrare nella loro testa per un po’, facendoci conoscere il loro mondo, che spesso casualmente si intreccia con quello degli altri personaggi. E lo fa egregiamente anche con i personaggi secondari (anche uno scoiattolo ad un certo punto!). Per esempio, ho adorato l'”hobby” di Maud Carlberg. Quando ha il turno di notte alla reception dell’ospedale, passa il tempo facendo un gioco che ha inventato lei. Sceglie un mestiere, una famiglia, un domicilio e altre caratteristiche e crea una “biografia”, che poi applica mentalmente alla prima persona che si avvicina al bancone. Per esempio una volta ha immaginato un pilota di linea che abitava a Götgatan, con due cani e un vicino segretamente innamorato di lui/lei, il cui grande problema era che, quando era ai comandi di un aereo, aveva l’impressione di vedere piccoli esseri verdi con berretti rossi che volteggiavano fra le nuvole. Dopo un po’ è arrivata una donna anziana dall’aspetto devastato, e via!, Maud le ha appioppato la biografia che aveva preparato: ex pilota, beveva di nascosto, aveva visto i piccoli esseri verdi ed era stata licenziata; ora rimaneva in casa tutto il giorno insieme ai suoi due cani, col vicino che era sempre innamorato di lei. Un episodio che non c’entra nulla col resto della storia, ma che mi ha fatto conoscere Maud, l’ha fatta diventare una persona vera… e mi ha anche dato una bella idea per passare il tempo, dovesse mai capitarmi una lunga attesa senza nessun libro appresso! ;)

Ma torniamo ai protagonisti. Il personaggio di Eli mi è piaciuto immensamente, il mio preferito senza dubbio, per la sua complessità, la contraddizione di essere così fragile e bisognoso d’aiuto, e al tempo stesso così forte e temibile. Nonostante tutto, parteggiavo per lui (ah, sì, Eli in realtà è, o meglio, era un ragazzo, Elias), mi ha fatto provare una grandissima pena. Già è di per sé molto triste immaginare un bambino vampirizzato, poi la storia che Eli ha alle spalle rende, se possibile, tutto ancora più triste. Anche per questo mi è piaciuto molto il finale, anch’esso triste sotto alcuni aspetti, ma anche consolatorio: sia Oskar che Eli non sono più soli, perché si sono “trovati” l’un l’altro. Come diceva Gatto Panceri, “l’amore va oltre”, supera davvero un sacco di cose. Però… mi sono rimaste un sacco di curiosità sul destino di molti personaggi! Che ne è stato di Tommy e Staffan? E Håkan, ancora non-morto, riportato di nuovo in ospedale? E il povero commissario Holmberg alle prese con un “angelo”? Ma vabbè, sono curiosità di minore importanza, me le terrò, pazienza! :)

Il segnalibro che ho usato durante la lettura; è del commercio equo e solidale.

Insomma, tutto questo sproloquio per dire che questo libro è bellissimo. Come horror, innanzi tutto: agghiacciante e terrificante; però, più che altro lo è nella sua parte “umana” e realistica. Splendido come romanzo in generale, veramente non avrei voluto mai smettere di leggere! Scritto davvero bene, ti lascia una certa inquietudine, che si protrae fino alle ultime parole dell’autore, alla fine, nei ringraziamenti:

Se qualcuno volesse prendersi la briga di controllare com’è stato il clima durante il mese di novembre del 1981, scoprirà che fu un inverno insolitamente mite. Mi sono preso la libertà di abbassare la temperatura di diversi gradi.

Per il resto, tutto quello che ho scritto in questo romanzo è vero, anche se è successo in maniera diversa.

Lo consiglio senza dubbio a tutti, amanti dei vampiri e non.

Grazie a…

Elisaday, la cui recensione mi ha fatto venire voglia di leggere questo libro.

Sfide

Questo libro costituisce la DODICESIMA TAPPA del Giro del mondo in 80 libri: EUROPA, Svezia, Blackeberg (Stoccolma)
Ecco la cartolina che ho mandato ai partecipanti alla sfida:

Un po’ di frasi

Nessun rispetto per le cose belle. Questa era la caratteristica della società moderna. Tutt’al più, le opere dei grandi maestri potevano essere usate per riferimenti ironici o nelle pubblicità. Come nella riproduzione di Michelangelo, dove Dio invece della scintilla della vita passa ad Adamo un paio di jeans.
Il centro di quell’immagine, così come Håkan la vedeva, erano quei due magnifici corpi monumentali che sfociavano nelle punte di due indici che arrivavano quasi a toccarsi, ma non proprio. Fra loro soltanto il vuoto di un millimetro. E in quel millimetro: la vita. La dignità scultorea e la ricchezza di dettagli di quel dipinto erano solo la cornice, un contorno per far risaltare ancora di più il vuoto infinitesimale al suo centro. Un punto vuoto che conteneva tutto.
E proprio lì avevano messo dei jeans.

Per alcuni secondi, Oskar vide attraverso gli occhi di Eli. E quello che vide era… se stesso. Ma migliore, più attraente, più forte di quello che pensava di essere. Visto con gli occhi dell’amore. Per pochi secondi.

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