Il Conte di Montecristo – Capitoli 11-19

La religione, che rincuorò e sostenne tanto spesso gli’infelici curvi sotto il peso d’un destino crudele, venne allora a rinfrescare il suo spirito. […] Infatti per molti la preghiera non è che una formula monotona e vuota fin quando il dolore non viene a spiegare loro, con la sua lugubre voce, il linguaggio sublime con cui ci si rivolge a Dio.

Comincia il periodo di prigionia di Edmondo, ma prima seguiamo i movimenti di Villefort. Ora il giovane si dimostra veramente spietato. Prima era un po’ comprensibile il suo comportamento (anche se non scusabile) perché era dettato dalla paura. Ora subentra il puro calcolo. La sua crudeltà è resa ancora più evidente dalle speranze che ancora Dantès nutre nei suoi confronti.
Ammirevole, invece, il coraggio di Morrell.
Ma veniamo al personaggio più interessante di questi dieci capitoli, e forse di tutto il libro: l’abate Faria. Veramente un uomo eccezionale! La prigionia non l’ha piegato, ma si è adoperato per migliorarsi la vita e, con infinita pazienza, studiarsi una via di fuga! Con lui Edmondo riacquista la voglia di vivere, impara moltissime cose, e grazie all’acume dell’abate scopre anche il mistero della sua incarcerazione. Il giovane comincia già a meditare vendetta, e la frase pronunciata da Caderousse qualche capitolo prima si rivela profetica: Quando si esce di prigione e ci si chiama Edmondo Dantès ci si vendica.
E per la prima volta sentiamo parlare di Montecristo…

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