Il castello dei destini incrociati

di Italo Calvino


Titolo: Il castello dei destini incrociati
Autore: Italo Calvino
Nazionalità: italiana
Anno prima pubblicazione: 1973
Ambientazione: un castello nascosto in un fitto bosco, in un tempo e un luogo non ben precisato
Casa Editrice: Mondadori
Pagine: 112
Link al libro: ANOBII
inizio lettura: 25 gennaio 2010
fine lettura: 14 febbraio 2010


In mezzo a un fitto bosco, un castello dava rifugio a quanti la notte aveva sorpreso in viaggio: cavalieri e dame, cortei reali e semplici viandanti.
Passai per un ponte levatoio sconnesso, smontai di sella in una corte buia, stallieri silenziosi presero in consegna il mio cavallo. Ero senza fiato; le gambe mi reggevano appena: da quando ero entrato nel bosco tali erano state le prove che mi erano occorse, gli incontri, le apparizioni, i duelli, che non riuscivo a ridare un ordine né ai movimenti né ai pensieri.

[incipit]

Per dirla con le stesse parole di Calvino, questo libro è «una specie di cruciverba fatto di figure anziché di lettere», e anche di destini, aggiungerei, come spiega anche il titolo. È composto di due parti: Il castello dei destini incrociati e La taverna dei destini incrociati.
Attraverso le carte dei Tarocchi, alcuni viandanti smarritisi in un bosco si ritrovano per caso prima in un castello, poi in una taverna (metafore forse dell’aldilà*), e cercano di raccontare le loro storie, con sequenze che si intrecciano tra loro, dando significati diversi ad ogni carta, ma sempre appropriati, sempre comprensibili da tutti gli altri. Anche perché entrando nel castello/taverna, i viandanti hanno perso la voce, per cui i tarocchi sono l’unico modo di comunicare che hanno.

Il segnalibro che ho usato durante la lettura è stato realizzato da mia sorella, che me l’ha regalato per Natale! Rappresenta il castello della mia città, e mi sembrava quindi adatto ad un libro ambientato in un castello.

È il terzo Calvino che leggo, ed è stata ancora una volta una sorpresa, un genere diverso da entrambi i precedenti. Bello, non c’è che dire, anche se non mi ha entusiasmato come Se una notte d’inverno un viaggiatore. È sicuramente geniale l’idea di raccontare storie tramite le carte dei tarocchi: solitamente vengono associate alla predizione, qui servono invece per “scoprire” il passato. E così si delineano davanti ai nostri occhi personaggi e racconti, come un film di immagini ferme, così ben descritto che non si può fare a meno di pensare che l’interpretazione del narratore che ci fa da tramite deve essere quella giusta. Però dopo un po’ il meccanismo, mi spiace dirlo, mi ha un stufato, per poi riprendere a interessarmi molto verso la fine, quando ed esporre le loro storie “taroccate” erano personaggi famosi della letteratura, nonché, ad un certo punto, finalmente, il narratore stesso.

Nonostante la parte centrale un po’ noiosetta, quindi, do comunque 4 stelline a questo romanzo, perché lo stile di Calvino, anche quando non racconta niente di nuovo, è sempre sorprendente! Non ricordo, per esempio, molti altri autori che usano nella prosa le figure retoriche tipiche della poesia, come le allitterazioni e le ripetizioni (la lettera Esse che serpeggia per significare che è lì pronta a significare significati, il segno significante che ha la forma di un Esse perché i suoi significati prendano forma di esse pure loro), con un risultato divertente, fascinoso e (giustamente) poetico. Il castello dei destini incrociati merita di sicuro una rilettura, magari fatta in un periodo meno incasinato di questo, che mi ha fatto impiegare 20 giorni per leggere questo libriccino di sole 112 pagine.

Nella nota dell’autore (che nella prima edizione era posposta al testo, mentre non so perché la Mondadori ha deciso di mettere come presentazione) Calvino spiega la genesi e l’ideazione di questo romanzo. Termina raccontando di un’altra idea che aveva avuto, un Motel dei destini incrociati, ambientato in epoca moderna, in cui al posto dei tarocchi usava delle vignette di fumetti. Però all’idea non è seguito più nulla, perché, dice Calvino, «Il mio interesse teorico ed espressivo per questo tipo d’esperimenti si è esaurito. È tempo (da ogni punto di vista) di passare ad altro.».

Peccato!

Grazie a…

PreferiscoLeggere, la cui recensione mi ha fatto venire voglia di leggere questo libro.

Sfide

Un po’ di frasi

Ogni volta che sta per decidere quale delle due gli conviene come sposa, si convince che può benissimo rinunciare all’altra, e così si rassegna a perdere questa ogni volta che s’accorge di preferire quella. L’unico punto fermo in questo va e vieni di pensieri è che può fare a meno sia dell’una che dell’altra, perché ogni scelta ha un rovescio cioè una rinuncia, e così non c’è differenza tra l’atto di scegliere e l’atto di rinunciare.

L’uomo è stato necessario: adesso è inutile. Perché il mondo riceva informazioni dal mondo e ne goda bastano ormai i calcolatori e le farfalle.

Eppure ogni tanto questi frizzi provocano nel Re una vaga inquietudine: anche questa certo prevista, anzi garantita dal contratto tra Re e Giullare, eppure un po’ inquietante lo stesso, e non solo perché l’unico modo di fruire d’un’inquietudine è l’inquietarsi, ma proprio perché s’inquieta davvero.

Per rimuovere il pensiero della morte i cittadini nascondono i cadaveri quaggiù, alla bell’e meglio. Ma poi, rimuovi che rimuovi, ci ripensano, e tornano a controllare se sono seppelliti abbastanza, se i morti essendo morti sono proprio qualcosa di diverso dai vivi, perché altrimenti i vivi non sarebbero più tanto sicuri d’essere vivi, dico bene?
il becchino

È a tutti noto, o almeno dovrebb’esserlo, che se l’alchimista cerca il segreto dell’oro per smania di ricchezza i suoi esperimenti fanno fiasco: deve invece liberarsi degli egoismi e delle limitazioni individuali, diventare una cosa sola con le forze che si muovono in fondo alle cose, e alla prima vera trasformazione che è quella di se stesso, le altre seguiranno docilmente.

Non c’è miglior luogo per custodire un segreto che un romanzo incompiuto.

…dinosauri mastodonti pterodattili mammuth, le prove che la natura ha fatto prima di rassegnarsi – non si sa per quanto ancora – al predominio umano.

Il potere del Denaro e della Spada gode soprattutto a rendere cose gli altri esseri umani.

La scrittura insomma ha un sottosuolo che appartiene alla specie, o almeno alla civiltà, o almeno a certe categorie di reddito.

Per sentieri d’inchiostro s’allontana al galoppo lo slancio guerriero della giovinezza, l’ansia esistenziale, l’energia dell’avventura spesi in una carneficina di cancellature e fogli appallottolati.

La forza dell’eremita si misura non da quanto lontano è andato a stare, ma dalla poca distanza che gli basta per staccarsi dalla città, senza mai perderla di vista.

Le generazioni si guardano torve, si parlano solo per non capirsi, per darsi a vicenda la colpa di crescere infelici e di morire delusi.


* Questa è una mia supposizione, a cui non ho trovato riscontro da nessuna parte, neanche nella nota dell’autore, quindi penso sia sbagliata, però, insomma, a me è parso così, quindi lo scrivo.

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