Maus

Racconto di un sopravvissuto

di Art Spiegelman

Titolo: Maus
Sottotitolo: Racconto di un sopravvissuto
Titolo originale: Maus: A Survivor’s Tale
Genere: fumetto
Autore: Art Spiegelman
Nazionalità: statunitense
Prima pubblicazione: 1991
Ambientazione: Polonia, anni 30 e 40 del XX secolo
Personaggi: Art Spiegelman, Vladek Spiegelman, Anja
Casa Editrice: Einaudi
Traduzione: Cristina Previtali
Pagine: 292
Provenienza: Biblioteca, 12 gennaio 2011
Link al libro: GOODREADSANOBII
inizio lettura: 21 gennaio 2011
fine lettura: 27 gennaio 2011



E siamo arrivati a campo di concentramento di Auschwitz. E sapevamo che da qui noi non usciamo più… sapevamo… che ci uccidono con gas e poi buttano in forni. Era il 1944… sapevamo tutto. E eravamo qui.

I genitori di Art Spiegelman sono due sopravvissuti di Auschwitz. In questo libro racconta la loro storia attraverso i racconti del padre. Una piccola storia in immagini, per raccontare l’orrore più grande.

A sinistra, il segnalibro che ho usato durante la lettura, e mi è stato regalato da Martj perché ho indovinato una citazione nella Sfida delle citazioni nel gruppo Readers Challenge.
Invece il segnalibro a destra, dedicato al libro, è mio!

Non ricordo quando ho sentito parlare per la prima volta di questo graphic novel, ma ricordo che mi stupì e incuriosì la scelta di rappresentare i personaggi come animali. Sapevo vagamente che parlava dell’Olocausto e che gli ebrei erano visti come topi, e i tedeschi come gatti, visione abbastanza metaforica. Però credevo che questa scelta narrativa implicasse il racconto di una storia di fantasia, ambientata in un mondo di fantasia in cui sarebbe ovviamente stato facile riconoscere l’Europa della Seconda Guerra Mondiale. Ma non è così. Se si esclude l’animalità di personaggi (oltre alle due specie citate ci sono anche polacchi/maiali, francesi/rane e americani/cani), la storia è proprio quella del padre di Spiegelman, compresa di particolari personali e a volte anche poco edificanti (per esempio la sua estrema tirchieria che lo fa assomigliare allo stereotipo dell’ebreo strozzino). Così attraverso il parlare stentato di un vecchio brontolone viene fuori un racconto agghiacciante e poetico, una storia di dolore e amore. Una storia che vorremmo dimenticare, ma che dovremmo invece avere sempre nella memoria, e non solo nel giorno a lei dedicato. Ho letto questo libro adesso principalmente perché l’ho iscritto alla sfida La lettura e l’immagine; soltanto dopo averlo preso in Biblioteca ho pensato che avrei potuto farne coincidere la lettura con la Giornata della Memoria. Infatti avrei voluto postare questa recensione ieri, ma il libro l’ho finito in serata, e non ho fatto in tempo. Però, come dicevo, poco male, certe cose è meglio ricordarle sempre. Parafrasando Lorenzo e Luca: o è la Giornata della Memoria tutti i giorni, o non lo è mai.

Quindi, in quanto a tema, ovviamente, niente da obiettare. Ma questo libro è veramente bellissimo nella sua interezza. La crudezza di certe scene non è mitigata dal fatto che i protagonisti siano topi, si soffre e ci si commuove comunque intensamente. Il parlare sgrammaticato di Vladek mi ha conquistata, sentiti direttamente dalla sua voce i ricordi di quegli anni hanno un fascino tutto particolare!

Ho apprezzato moltissimo anche la traduzione, soprattutto per la nota introduttiva in cui la traduttrice spiega alcune particolarità linguistiche, e il modo in cui ha scelto di tradurle.

Insomma, questo libro è stupendo, reale e vagamente onirico al tempo stesso. È una testimonianza preziosa e un capolavoro per cui mi sento veramente grata all’autore.

Mi dispiace solo per una cosa: ora devo andare a restituirlo alla Biblioteca!!!

Dammi 4 parole

Un topo sanguina storia

(Questa frase si rifà al titolo della prima parte del libro: “Mio padre sanguina storia”. Mi è piaciuta talmente tanto che ho voluto riportarla nella mini recensione!)

Sfide

Un po’ di frasi e immagini

Rego Park, N.Y. circa 1958
Ricordo che era d’estate. Avevo dieci o undici anni…
(«Chi arriva ultimo a scuola è uno scemo!»)
… stavo pattinando con Howie e Steve…
mi si sganciò un pattino.
«Ehi! Ragazzi aspettatemi!»
«Scemo! Ah ah!»
«A-aspettatemi! … Snk. Snf»
Mio padre aggiustava qualcosa davanti casa.
«Artie! Vieni! Tieni qui un momento quando sego.»
«Snrk?»
«Perché piangi Artie? Stringi meglio legno.»
«So-sono caduto e i miei amici m-mi hanno lasciato qui.»
Smise di segare.
«Amici? Tuoi amici?… Se chiudi loro insieme in stanza senza cibo per una settimana… allora tu vedi cosa è amici! …»
[incipit]

– La mamma non era tanto attraente, vero?
– Non così come Lucia… ma se tu parlavi poco poco con lei, ti innamoravi di lei sempre di più.
Art e suo padre

E siamo arrivati a campo di concentramento di Auschwitz. E sapevamo che da qui noi non usciamo più… sapevamo… che ci uccidono con gas e poi buttano in forni. Era il 1944… sapevamo tutto. E eravamo qui.

– Molti giovani tedeschi ne hanno piene le tasche di storie sull’Olocausto. Sono cose successe ancora prima che nascessero. Perché dovrebbero sentirsi in colpa?
– Chi sono io per dirlo? Ma molte società che fiorirono nella Germania nazista sono più ricche che mai. Non so… forse TUTTI devono sentirsi in colpa. TUTTI! PER SEMPRE!
Giornalista e Art

– Ahimé! Temo proprio di non capire.
– Sì… Auschwitz nessuno può capire.
Art e suo padre

explicit Leggi

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.