I quasi adatti


di Peter Høeg

Titolo: I quasi adatti
Titolo originale: De Måske Egnede
Autore: Peter Høeg
Nazionalità: danese
Prima pubblicazione: 1993
Casa Editrice: Mondadori (Oscar Best Sellers)
Traduzione: Bruno Berni
Pagine: 275
Link al libro: GOODREADSANOBII
inizio lettura: 23 febbraio 2011
fine lettura: 19 maggio 2011


Notai anche una grande quantità di uccelli impagliati, e una mangusta tra le spire di un cobra con gli occhiali.
Il serpente era più grosso della mangusta, l’aveva avvolta tutta e aveva cominciato a stringere. Al tempo stesso aveva spalancato le fauci e scoperto i denti velenosi. Gli animali restavano un attimo ipnotizzati prima di essere colpiti.
Sapevo che la mangusta avrebbe vinto. Non era una cosa che desideravo, ma una cosa che sapevo. Aveva tutto da perdere, era in gioco la sua vita, e forse anche quella di altri che doveva proteggere dal serpente; era anche più piccola e si trovava con le spalle al muro. Un piccolo, inquieto predatore contro un serpente più grosso, più freddo e più calmo. Ma che comunque non aveva alcuna possibilità.

(Pagina 156)

Peter ha quattordici anni, è orfano, ed è già passato attraverso diversi istituti, nonché una serie di esperienze tutt’altro che piacevoli, prima di arrivare alla Biehl. Questa scuola è all’avanguardia per quanto riguarda l’educazione e il recupero di minori disagiati.
Eppure Peter sente del marcio – d’altronde, siamo in Danimarca! ;) – non si adegua alle ferree regole della scuola, e si ammala, diventa malato di tempo.

Dopo la deludente esperienza con La storia dei sogni danesi ho finalmente trovato un altro libro di Høeg che ho potuto apprezzare. Però siamo ancora molto lontani dall’amore sviscerato che nutro per Il senso di Smilla per la neve: quello che manca è un personaggio che prenda fin dalle prime pagine, come è stato Smilla per me. Ma non voglio dilungarmi su quest’altro romanzo, qui stiamo parlando de I quasi adatti.

Il segnalibro che ho usato durante la lettura è stato realizzato da Dot_Desperation.

All’inizio questo libro mi ha subito conquistata, invischiandomi nei pensieri di Peter e nelle sue riflessioni sul tempo. Poi le cose hanno incominciato ad ingarbugliarsi, non ci stavo più capendo molto, e purtroppo ho rallentato di parecchio la lettura, preferendo dedicarmi ad altri libri. Quando finalmente ho ripreso a leggerlo più spesso, mi sono fatta di nuovo coinvolgere, e stavo giusto pensando che mi stava piacendo parecchio di più del già citato La storia dei sogni danesi, quando ecco che la narrazione fa una pausa, e di nuovo ci perdiamo nelle elucubrazioni di Peter sul tempo. Per fortuna non mi sono lasciata scoraggiare, e questa parte meno interessante (per me, ovviamente) è passata in fretta, per cui sono potuta arrivare al finale gustandomi la lettura.

E questo gradimento altalenante è il motivo principale del voto “basso”, solo 3 stelline. Altro motivo è che, a lettura finita, posso dire che non mi è dispiaciuto, ma se mi chiedo: è stata quindi una bella lettura? Non riesco a rispondere un un bel “sì!” deciso!

Non so, non capisco perché non scatta più il feeling con Høeg. Eppure sotto certi aspetti penso che questo libro sia veramente bello. Racconta di alcuni bambini in lotta contro il mondo, in particolare il mondo degli adulti. Racconta della “malattia del tempo”, di quanto siamo ossessionati dal suo scorrere, sia nel quotidiano (appuntamenti, ritardi, attese) che a lungo termine (crescere, invecchiare…): quanto mai attuale, direi. È un romanzo, almeno in parte, autobiografico (così almeno ho letto nella quarta di copertina), la prosa è scorrevole, i protagonisti sono bei personaggi, ragazzi difficili, ribelli, ma con gran cuore, e speranze, e coraggio. Allora? Perché mi è solo piaciucchiato questo romanzo? Non so, non riesco proprio a spiegarmelo!

Dammi 4 parole

Coinvolgente ma non abbastanza

Sfide

Questo libro costituisce la XXII TAPPA del Giro del mondo in 80 libri: EUROPA, Danimarca, Copenhagen
Ecco la cartolina che ho mandato ai partecipanti alla sfida:

Un po’ di frasi

Che cos’è il tempo?
Salivamo cinque piani verso la luce e ci distribuivamo in tredici file rivolti verso il dio che apre le porte del mattino. Poi c’era una pausa, quindi arrivava Biehl.
Perché quella pausa?
A un’esplicita domanda sulle sue pause rivoltagli da una delle ragazze brave, Biehl sul momento era rimasto in silenzio. Poi lui, che non diceva mai “io” di se stesso, aveva detto, lentamente e con grande serietà, come stupito della domanda, e forse anche della propria risposta: «Quando parlo dovete ascoltare soprattutto le mie pause. Dicono più delle mie parole».
[incipit]

Forse al mondo ci sono solo due tipi di domande.
Quelle che fanno a scuola, dove la risposta è nota in anticipo, domande che non vengono poste per saperne di più, ma per altri motivi.
E poi le altre, quelle del laboratorio. Dove non si conoscono le risposte e spesso nemmeno la domanda, prima di porla.
(Pagina 23)

Anch’io ero stato vicino a rinunciare. […]
Non lo avrei mai scoperto senza Katarina. Anche se avevamo parlato molto poco, specialmente nelle ultime settimane. Ma lei cercava qualcosa. Quando si incontra una persona che cerca, si rimanda il momento della rinuncia.
C’era anche August, che aveva una pessima memoria. […] Bisognava aiutarlo. Se si vogliono aiutare gli altri è indispensabile tenersi su.
(Pagina 57)

Pensare allo spazio non dà problemi. Ma pensare al tempo comporta sempre dolore.
(Pagina 64)

Quando le persone sono deboli e indifese […] può diventare necessario fare qualcosa per loro senza ricevere nulla in cambio. Non importa cosa.
Anche se poi qualcosa in cambio si riceve. Ero sceso e risalito per aiutarlo e proteggerlo. Adesso era come se mi aiutasse lui. Come se ci si potesse liberare aiutando gli altri.
Non riesco a dirlo meglio.
(Pagina 134)

Sedevamo lì, e io sapevo che questo si prova quando si è completamente accettati. Si siede accanto a un’altra persona e si viene capiti, tutto viene capito, e niente viene giudicato, e si diventa indispensabili.
(Pagina 157)

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2 pensieri riguardo “I quasi adatti

  1. ho letto tanti romanzi nella mia vita,durante l’estate anche 4 alla volta,mi piaceva sdraiarmi all’aperto a leggere,chissà forse era un mio modo d’esprimermi,una forma di libertà che solo leggere mi dava…affamata di conoscenza bramavo verità :)
    la biblioteca del mio paese è splendida,sempre aggiornatissima e superaccogliente,ci ho trascorso più tempo che a scuola,preferivo dedicarmi alla lettura che aimè allo studio!mi sono imbattuta in questo libro che avevo appena 14 anni,nel 1993,praticamente fresco fresco di stampa…e devo dire che mi è entrato dentro come poche letture precedenti e anche successive,malgrado la mia giovane età riuscivo ad intenderlo benissimo,mi immedesimavo con facilità sebbene fortunatamente una famiglia l’avessi e anche la libertà…!l’approccio al libro dipende secondo me da molti fattori…l’età è uno di questi!saluti Erika

    1. Per quanto mi riguarda credo che sia questo libro che I sogni danesi mi siano piaciuti poco perché ho scoperto questo autore con Il senso di Smilla per la neve, che adoro, e non sono più riuscita a ritrovare quel feeling con gli altri lavori di Høeg, che sono, in effetti, piuttosto diversi.

      Grazie comunque per il bel commento, mi fa sentire un po’ dispiaciuta di non essere riuscita ad apprezzare pienamente questo libro, come se mi fossi persa qualcosa!

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