Le braci

di Sándor Márai

Titolo: Le braci
Titolo originale: A gyertyàk csonkig égnrk
Autore: Sándor Márai
Nazionalità: ungherese
Anno prima pubblicazione: 1942
Ambientazione: Ungheria, anni 30 del XX secolo
Casa Editrice: Adelphi
Traduzione: Marinella D’Alessandro con il contributo della Hungarian Book Foundation
Pagine: 172
Provenienza: Biblioteca, 20 novembre 2008
Link al libro: GOODREADSANOBII
inizio lettura: 20 novembre 2008
fine lettura: 30 novembre 2008

Non è vero che il destino si introduce alla cieca nella nostra vita: esso entra dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato, facendoci da parte per invitarlo a entrare.

Due uomini, due amici, si incontrano dopo 41 anni di separazione. Attraverso i ricordi di uno di loro, ripercorriamo tutta la storia della loro amicizia e scopriamo il motivo del loro allontanamento.

Il segnalibro che ho usato durante la lettura è stato realizzato da gabry_enzo.
L’ex-libris della sfida The Great Random Challenge è stato realizzato da Ombraluce.

Non mi è piaciuto molto questo libro. In parte perché l’ho trovato parecchio noioso. In parte anche perché non mi è piaciuto il modo di scrivere. Già all’inizio, quando ripete in continuazione “l’ufficiale di guardia” per designare il padre del generale (tanto che ad un certo punto il generale stesso viene definito “il figlio dell’ufficiale di guardia”). Poi le frasi brevi e spezzate stranamente, non dico che non mi sono piaciute, però mi hanno un po’ straniato. E infine, l’uso del tempo presente, anche nel racconto fatto con la voce del generale, mi ha dato un po’ fastidio! Mi piaceva invece il personaggio di Nini, che è marginale e per questo sparito quasi subito.

Per il resto, come ho già detto, questo libro mi ha annoiato. Non sono mancati i momenti interessanti, certo, ma erano, appunto, solo momenti. Per esempio il capitolo 13 si chiude con la shockante notizia che uno dei due amici, Konrad, ha tentato di uccidere l’altro. E poi? Il capitolo 14 ricomincia di nuovo con una tale noia!

Bella però quest’amicizia, non tanto la sua storia, quando il fatto che (almeno secondo il generale) ha resistito e resisterà nonostante tutto, anche alla luce del tentativo di omicidio e del tradimento. E anche se è noioso pure lui quando parla, il generale come personaggio mi è piaciuto. Insomma, alla fine, a parte un po’ di noia, non era poi così male questo libro, però, non so, forse mi aspettavo troppo avendo letto tutti quei commenti entusiasti nella discussione su aNobii. O forse, semplicemente, come a volte capita, non fa per me.

Sfide

Un po’ di frasi

In mattinata il generale si soffermò a lungo nella cantina del vigneto. Vi si era recato all’alba insieme al vignaiolo perché due botti del su vino avevano cominciato a fermentare. Quando finì di imbottigliarlo e fece ritorno a casa, erano già le undici passate. Ai piedi delle colonne, sotto il portico lastricato di pietre umide ricoperte di uffa, lo attendeva il guardiacaccia, che porse una lettera al padrone appena arrivato.
[incipit]

L’amico, così come l’innamorato, non si aspetta di veder ricompensati i suoi sentimenti. Non esige contropartite per i suoi servizi, non considera la persona eletta come una creatura fantastica, conosce i suoi difetti e l’accetta così com’è, con tutto ciò che ne consegue. Questo sarebbe l’ideale. E in effetti: vale forse la pena di vivere, di essere uomini, senza un ideale come questo? E se un amico ci delude perché non è un vero amico, possiamo forse metterlo sotto accusa, rinfacciargli il suo carattere, la sua debolezza? Quanto vale un’amicizia in cui apprezziamo l’altro per le sue virtù, per la sua fedeltà, per la sua perseveranza? Quanto vale un’amicizia che ambisca a essere premiata? Non abbiamo forse il dovere di accettare l’amico infedele esattamente come quello fedele e pieno di abnegazione? Non è forse questo il contenuto più autentico di ogni relazione umana, un altruismo che dall’altro non esige nulla e non si aspetta nulla, assolutamente nulla? […] E se colui che è stato tradito e abbandonato si offende, se grida vendetta, era davvero un amico?

Alle domande più importanti si finisce sempre col rispondere con l’intera esistenza. Non ha importanza quello che si dice nel frattempo, in quali termini e con quali argomenti ci si difende. Alla fine, alla fine di tutto, è con i fatti della propria vita che si risponde agli interrogativi che il mondo ci rivolge con tanta insistenza. Essi sono: Chi sei?… Cosa volevi veramente?… Cosa sapevi veramente?… A chi e a che cosa sei stato fedele o infedele?… Nei confronti di chi o di che cosa ti sei mostrato coraggioso o vile?… Sono queste le domande capitali. E ciascuno risponde come può, in modo sincero o mentendo; ma questo non ha molta importanza. Ciò che importa è che alla fine ciascuno risponde con tutta la propria vita.

«Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che un giorno invade il nostro cuore, la nostra anima e il nostro corpo e che, qualunque cosa accada, continua a bruciare in eterno, fino alla morte? E non credi che non saremo vissuti invano, poiché abbiamo provato questa passione? E a questo punto mi chiedo: la passione è veramente così profonda, così malvagia, così grandiosa, così inumana? Non può essere che non si rivolga affatto a una persona precisa, ma soltanto al desiderio in sè? Questa è la domanda. Oppure, nonostante tutto, si rivolge a una persona ben definita, alla stessa, misteriosa persona che può essere indifferentemente buona o cattiva, senza che l’intensità del nostro sentimento dipenda in alcun modo dalle sue azioni e dalle sue qualità? Rispondi, se ne sei capace.»
«Perché me lo domandi? Sai bene che è così».

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