di Fëdor Michàjlovič Dostoevskij
Non vi è nulla di più elevato, di più forte, di più salutare e utile per la vita avvenire di un bel ricordo, specialmente se è un ricordo dell’infanzia, della casa paterna.
Alëša
Questo è uno dei libri che avevo iniziato a leggere un sacco di tempo fa, e che poi avevo interrotto. Ho deciso di aggiungerne ogni volta uno al sondaggio, e questo è stato abbastanza in fretta molto votato. E ringrazio molto tutti quelli che l’hanno fatto, perché m’è piaciuto davvero. Ho ricominciato, ovviamente, la lettura dall’inizio perché assolutamente non mi ricordavo nulla, e devo dire che questo secondo approccio è stato assai meglio del primo, anzi, mi chiedo davvero come avevo fatto l’altra volta ad interrompere la lettura proprio in quel punto, in cui c’erano parecchie cose lasciate in sospeso che necessitavano di una risoluzione! O meglio, in realtà lo so come ho fatto: mi ero arenata in quella che in effetti è la parte più noiosa del romanzo: le conversazioni dello stàrec Zosima. In generale i vari personaggi del libro tendono a perdersi in prolisse ripetizioni nei loro discorsi, il che li rende di certo più realistici, ma molto più noiosi, e queste “conversazioni” riportate da Alëša sono di sicuro il migliore/peggiore esempio di ciò.
Però stavolta ho tenuto duro, e ho fatto bene, in quanto la parte successiva, dopo un inizio che è quasi un’introduzione dei personaggi, è sicuramente la più interessante.
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Il segnalibro che ho usato durante la lettura. |
Il protagonista del libro, a detta dell’autore, è Alekséj Fëdorovič Karamazov (pronuncia: Aliecséi Fiodaròvic Caramàzaf o Caramazòf, non so bene), il suo eroe. Perché eroe? Bè, semplicemente perché, a suo dire, «Alekséj Fëdorovič è un uomo strano, anzi un originale.»
Nel romanzo, però, non si racconta ovviamente solo la sua storia, ma anche quella dei sui due fratelli, Dmitrij e Ivàn. I tre fratelli sono un po’ l’allegoria di tre diversi modi di porsi nei confronti della vita (come spiega Giovanna Spiendel nell’introduzione alla mia edizione): Ivàn è l’uomo della ragione, Dmitrij è l’uomo delle passioni, Alëša (diminutivo di Alekséj, pronuncia: Aliòscia) è l’uomo dei sentimenti. Avendo Dostoevskij scelto quest’ultimo come protagonista del romanzo, è facile pensare che sia questo il suo ideale di uomo. Non perfetto, non eccezionale, non superiore per qualche virtù al resto dell’umanità. Solo, originale. E privo degli eccessi, da una parte e dall’altra, dei suoi due fratelli. È il personaggio che anche io ho preferito, soprattutto per un lato particolare del suo carattere: quello di essere in grado di capire profondamente le persone, e di farlo senza giudicare, ma con compassione (inteso nel senso più positivo di questo termine, e cioè “sentire, soffrire insieme”).
E dopo una presentazione iniziale dei tre fratelli e la loro storia familiare, la vicenda si dipana intorno ai tre e a pochi altri personaggi principali, fino a giungere al delitto (eh, sì, c’è anche un “delitto”, cosa che non fa mai male per accrescere il mio interesse in una storia!) e alle conseguenze di questo.
Come ho detto, sono proprio contenta di questa lettura, e devo dire che il vecchio Fëdor (pronuncia: fiòdar) scrive assai bene, con uno stile moderno, anche abbastanza ironico, specie con le sue “strizzatine d’occhio” al lettore, quando gli parla direttamente, o quando finge di aver detto troppo, ecc.
Uniche note negative, oltre alle eccessive ripetizioni di cui parlavo prima, aggiungerei anche un po’ troppe “conversioni” e un po’ troppe pazzie, ma chissà, forse era un po’ così davvero la Russia. Tra l’altro, non posso fare a meno, quando leggo questi libri, di pensare ai russi come a gente tutta “particolare”, visto che anche loro stessi fanno di contino queste precisazioni e distinzioni: “il contadino russo è fatto così, il ladro russo è fatto così, il russo è così”, ecc ecc.
Infine, prima delle frasi, un altro punto a favore del mio gradimento per questo libro è che adoro la lingua russa, e provavo proprio piacere nel leggere tutti quei bellissimi nomi!!! Prima o poi prenderò il coraggio a due mani e a quattrocchi e rileggerò Guerra e Pace: sarà una goduria di sicuro da questo punto di vista!
Beh, sono contenta che tu ce l’abbia fatta! Non ne ho letti moltissimi ma mi azzardo a dire che questo sia uno dei migliori romanzi russi in assoluto… hai veramente centrato il punto col dire che Alksej rappresenta la compassione e non nel senso latino del termine, anche se io stravedo per Ivan… povero il mio Ivan…
Ah, complimenti per il blog, adesso che l’ho scoperto ci verrò spesso.-)
Antonella
Bè, io ho un debole per Tolstoj, e per me è Guerra e Pace il migior romanzo russo in assoluto, ma Dostoevskji non mi dispiace, ho letto altro di suo, e ora mi sto cimentando con L’idiota, di cui ho sentito dire davvero un gran bene!!!
P.S.
Grazie anche per i complimenti al blog! :D