I fratelli Karamazov

di Fëdor Michàjlovič Dostoevskij

Anno: 1879
Casa Editrice: San Paolo
traduzione di Giacinta De Dominicis Jorio

Questo è uno dei libri che avevo iniziato a leggere un sacco di tempo fa, e che poi avevo interrotto. Ho deciso di aggiungerne ogni volta uno al sondaggio, e questo è stato abbastanza in fretta molto votato. E ringrazio molto tutti quelli che l’hanno fatto, perché m’è piaciuto davvero. Ho ricominciato, ovviamente, la lettura dall’inizio perché assolutamente non mi ricordavo nulla, e devo dire che questo secondo approccio è stato assai meglio del primo, anzi, mi chiedo davvero come avevo fatto l’altra volta ad interrompere la lettura proprio in quel punto, in cui c’erano parecchie cose lasciate in sospeso che necessitavano di una risoluzione! O meglio, in realtà lo so come ho fatto: mi ero arenata in quella che in effetti è la parte più noiosa del romanzo: le conversazioni dello stàrec Zosima. In generale i vari personaggi del libro tendono a perdersi in prolisse ripetizioni nei loro discorsi, il che li rende di certo più realistici, ma molto più noiosi, e queste “conversazioni” riportate da Alëša sono di sicuro il migliore/peggiore esempio di ciò.
Però stavolta ho tenuto duro, e ho fatto bene, in quanto la parte successiva, dopo un inizio che è quasi un’introduzione dei personaggi, è sicuramente la più interessante.
Il protagonista del libro, a detta dell’autore, è Alekséj Fëdorovič Karamazov (pronuncia: Aliecséi Fiodaròvic Caramàzaf o Caramazòf, non so bene), il suo eroe. Perché eroe? Bè, semplicemente perché, a suo dire, «Alekséj Fëdorovič è un uomo strano, anzi un originale.»
Nel romanzo, però, non si racconta ovviamente solo la sua storia, ma anche quella dei sui due fratelli, Dmitrij e Ivàn. I tre fratelli sono un po’ l’allegoria di tre diversi modi di porsi nei confronti della vita (come spiega Giovanna Spiendel nell’introduzione alla mia edizione): Ivàn è l’uomo della ragione, Dmitrij è l’uomo delle passioni, Alëša (diminutivo di Alekséj, pronuncia: Aliòscia) è l’uomo dei sentimenti. Avendo Dostoevskij scelto quest’ultimo come protagonista del romanzo, è facile pensare che sia questo il suo ideale di uomo. Non perfetto, non eccezionale, non superiore per qualche virtù al resto dell’umanità. Solo, originale. E privo degli eccessi, da una parte e dall’altra, dei suoi due fratelli. E’ il personaggio che anche io ho preferito, soprattutto per un lato particolare del suo carattere: quello di essere in grado di capire profondamente le persone, e di farlo senza giudicare, ma con compassione (inteso nel senso più positivo di questo termine, e cioè “sentire, soffrire insieme”).
E dopo una presentazione iniziale dei tre fratelli e la loro storia familiare, la vicenda si dipana intorno ai tre e a pochi altri personaggi principali, fino a giungere al delitto (eh, sì, c’è anche un “delitto”, cosa che non fa mai male per accrescere il mio interesse in una storia!) e alle conseguenze di questo.
Come ho detto, sono proprio contenta di questa lettura, e devo dire che il vecchio Fëdor (pronuncia: fiòdar) scrive assai bene, con uno stile moderno, anche abbastanza ironico, specie con le sue “strizzatine d’occhio” al lettore, quando gli parla direttamente, o quando finge di aver detto troppo, ecc.
Uniche note negative, oltre alle eccessive ripetizioni di cui parlavo prima, aggiungerei anche un po’ troppe “conversioni” e un po’ troppe pazzie, ma chissà, forse era un po’ così davvero la Russia. Tra l’altro, non posso fare a meno, quando leggo questi libri, di pensare ai russi come a gente tutta “particolare”, visto che anche loro stessi fanno di contino queste precisazioni e distinzioni: “il contadino russo è fatto così, il ladro russo è fatto così, il russo è così”, ecc ecc.
Infine, prima delle frasi, un altro punto a favore del mio gradimento per questo libro è che adoro la lingua russa, e provavo proprio piacere nel leggere tutti quei bellissimi nomi!!! Prima o poi prenderò il coraggio a due mani e a quattrocchi e rileggerò Guerra e Pace: sarà una goduria di sicuro da questo punto di vista!

Poiché gli uomini sono stati creati per la felicità, colui che si sente pienamente felice è degno di dire a sé stesso: ho adempiuto la legge di Dio su questa terra. Tutti i giusti, tutti i santi, tutti i martiri sono stati felici.
Lo starec Zosima

[…] per me… in tutta la vita non è mai esistita una donna brutta: questa è la mia massima!
[…] in ogni donna si può trovare qualcosa di estremamente interessante, che non si trova in nessun’altra; bisogna soltanto saperlo trovare, ecco il problema! Ci vuole un fiuto tutto speciale. Per me non sono mai esistite donne brutte; il fatto solo che siano donne è già la metà di tutto… […] Persino nelle vecchie zitelle si trova talvolta qualche cosa da doversi meravigliare degli imbecilli che le hanno lasciate invecchiare senza accorgersi di loro!
La filosofia del sensuale di Fëdor Pàvlovi? Karamazov, padre dei tre fratelli

[…] quanto più stupidamente si incomincia, tanto più rapidamente si arriva al sodo. Più si è stupidi, più si è chiari. La stupidità è concisa e non usa l’astuzia, l’intelligenza, invece, nicchia e si rimpiatta. L’intelligenza è vile, la stupidità è sincera e onesta.
Ivàn

A volte si parla della crudeltà “belluina” dell’uomo, ma questa espressione è sommamente ingiusta e offensiva per le belve: una belva non può mai essere crudele come l’uomo, così artisticamente, così raffinatamente crudele.
Ivàn

Con la menzogna si può fare il giro del mondo, ma non si può tornare indietro.
Dalle conversazioni dello starec Zòsima

«Otello non è un uomo geloso, è un uomo fiducioso», osservò Puškin, e questa semplice osservazione attesta da sola la straordinaria profondità d mente del nostro grande poeta. L’anima di Otello è semplicemente spezzata e la visione del mondo si è offuscata perché il suo ideale è crollato. Ma Otello non spia, non si nasconde, non sta a far la guardia: è un uomo fiducioso, tanto che è stato necessario guidarlo, spingerlo, aizzarlo con sforzi enormi per fargli dubitare del tradimento.

È tale la forza che sento in me da farmi pensare che trionferò di tutto, di ogni sofferenza, pur di potermi dire a ogni istante: esisto! Tra mille spasimi, ma esisto! Mi dibatto tra le torture, ma esisto! Sono alla gogna, ma esisto anch’io, e vedo il sole e, se anche non lo vedo, so che esiste. E sapere che c’è il sole, è già vita!
Dmitrij

Essi certo soffrono, sì, ma… in compenso vivono, vivono una vita reale, e non una vita fantastica: il dolore, infatti, è vita. Senza dolore che piacere ci sarebbe a vivere?
Il “diavolo” di Ivàn

Non vi è nulla di più elevato, di più forte, di più salutare e utile per la vita avvenire di un bel ricordo, specialmente se è un ricordo dell’infanzia, della casa paterna.
Alëša

3 pensieri riguardo “I fratelli Karamazov

  1. Beh, sono contenta che tu ce l’abbia fatta! Non ne ho letti moltissimi ma mi azzardo a dire che questo sia uno dei migliori romanzi russi in assoluto… hai veramente centrato il punto col dire che Alksej rappresenta la compassione e non nel senso latino del termine, anche se io stravedo per Ivan… povero il mio Ivan…

    Ah, complimenti per il blog, adesso che l’ho scoperto ci verrò spesso.-)

    Antonella

  2. Bè, io ho un debole per Tolstoj, e per me è Guerra e Pace il migior romanzo russo in assoluto, ma Dostoevskji non mi dispiace, ho letto altro di suo, e ora mi sto cimentando con L’idiota, di cui ho sentito dire davvero un gran bene!!!

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