Notre-Dame de Paris – Libri III – IV – V

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Ancora procede a salti la lettura, capitoli che divoro e capitoli che mi fanno stare ferma giorni (e infatti sono ancora una volta in ritardo!).

Senza dubbio, ancora oggi la chiesa di Notre-Dame è un edificio maestoso e sublime. Ma per quanto, invecchiando, si sia potuta conservare bella, è difficile non sospirare e anche non indignarsi vedendo i guasti e le mutazioni infinte che la congiura del tempo e degli uomini ha inflitto al venerabile monumento, senza rispetto alcuno per Carlo Magno, che ne aveva posto la prima pietra e per Filippo Augusto che ne aveva posto l’ultima.
Sul volto di questa vecchia regina delle nostre cattedrali, accanto a una ruga si vede sempre una cicatrice. Tempus edax, homo edacior [il tempo è vorace, l’uomo più vorace ancora], ma io tradurrei volentieri così: il tempo è cieco, l’uomo è stupido.

Ok, s’è capito, la Parigi del XV secolo era più bella di quella di Hugo… bastavano meno descrizioni, per chiarire il concetto, a mio parere! Insomma, ho trovato un po’ noiosa tutta questa dettagliata descrizione, soprattutto perché io non è che conosco tanto bene la Parigi di ora, per cui non riesco ad immaginarmi bene quella di allora. Comunque, mi fido di Hugo:

Non era, allora, soltanto una bella città, Parigi; era una città omogenea, un prodotto architettonico e storico del Medioevo, un cronaca di pietra.

Poi una cosa mi ha lasciata moltissimo perplessa: più di una volta viene nominata una non meglio specificata “Rinascenza”. Che cos’è?!?! Mi è venuto in mente che potrebbe trattarsi di una inspiegabile strana traduzione di “Rinascimento”… mah!
Tutti questi ricordi dei cambiamenti di Parigi, comunque, mi fanno pensare che quello che noi consideriamo il suo simbolo più immediato, il monumento che ce la fa riconoscere senza ombra di dubbio (ovviamente sto parlando della Torre Eiffel), ai tempi di Hugo non c’era ancora!

Per fortuna, alla fine di questo infinito capitolo un po’ noioso su Parigi, c’è una parte che ho trovato invece affascinantissima: quella sulle campane!

Poi, d’un colpo, vedrete, poiché davvero in certi momenti le orecchie vedono, vedrete alzarsi nel medesimo istante da ogni campanile come una colonna di suono, come un fumo d’armonia.

E poi ancora, poco dopo:

Certo questo è davvero qualcosa che merita di essere ascoltato. Il rumore solito di questa città di giorno è Parigi che parla, di notte Parigi che respira; ma questo è Parigi che canta.

Che meraviglia!!! Io poi ho sempre avuto un entusiasmo infantile per le campane, ancora adesso se ne suona una nelle vicinanze mi fermo col naso all’insù cercando di scorgerla! Dev’essere davvero uno spettacolo osservare Parigi che canta come la descrive Hugo!

… e ditemi se conoscete al mondo qualcosa di più ricco, di più gioioso, di più dorato, di più splendente, di questo tumulto di campane e campanelle; di questa fornace di musica; di queste diecimila voci di bronzo cantanti tutte assieme dentro flauti di pietra alti trecento piedi; di questa città che si trasforma tutta in un’orchestra; di questa sinfona simile a un rombo di uragano.

Dopo tutto questo popò di storia dell’arte, torniamo ai nostri per alcuni capitoli, e conosciamo un po’ meglio Quasimodo e Frollo.
Il capitolo dedicato al gobbo, Immanis pecoris custos, immanior ipse [A un orribile gregge, guardiano ancor più orribile], mi è piaciuto moltissimo. Innanzitutto conosciamo qualcosa della sua origine, e dell’origine del suo nome (“Quasimodo” significa “formato a metà”, ma è anche il nome francese della domenica in Albis, giorno in cui è stato ritrovato), e scopriamo che all’epoca dei fatti raccontati dal romanzo aveva circa vent’anni.

Era cattivo infatti perché era selvaggio; era selvaggio perché era brutto. C’era una logica nella sua natura come nella nostra.
[…]
D’altronde bisogna rendergli giustizia: la cattiveria non era innata in lui. Dai suoi primi passi in mezzo agli uomini si era sentito e poi visto disprezzato, scartato, respinto. La parola umana per lui era stata sempre o uno schermo o una maledizione. Crescendo, non aveva trovato altro che odio intorno a sé, e lo aveva acquisito, aveva preso la cattiveria di tutti, aveva raccolto l’arma con cui gli altri lo avevano ferito.

E’ vero, povero Quasimodo: guercio, zoppo, gobbo, poi anche sordo, e infine cattivo. Veramente non si può non provare pena per lui!
Ma quello che più mi è piaciuto di questo capitolo è stata la descrizione del legame tra Quasimodo e la Cattedrale:

L’antico Egitto lo avrebbe chiamato il dio di questo tempio, il Medioevo lo credeva invece il suo demonio: in verità ne era l’anima.

E di nuovo, anche qui, abbiamo le campane! Quando parlava di Marie, sentivo quasi dolore alle orecchie al pensiero del suo suono così potente!
Alla fine di questo capitolo mi sono detta: se continua così, gli perdono i capitoli noiosi e gli do 5 stelline sicuro!

Purtroppo Hugo non mi ha esaudita, perché i capitoli successivi non sono stati sicuramente all’altezza! Però, comunque, quelli su Frollo sono stati interessanti! Già questo personaggio di presentava complicato e misterioso, diverso da come lo immaginavo (lo ammetto, forse per quanto riguarda lui sono troppo condizionata dal film Disney!). Mi ha stupito, per esempio, che in mezzo alla crudeltà della gente di fronte al piccolo Quasimodo, proprio lui sia stato l’unico a dimostrarsi compassionevole.
Mi ha colpito poi anche il legame tra i due, accomunati anche dall’essere derisi e non benvoluti dalle altre persone: Di quei due, uno ci ha l’anima come l’altro il corpo!

Dopo Frollo, ecco di nuovo un capitolone sull’arte; stavolta, però, devo dire, molto più interessante! L’architettura è il gran libro dell’umanità, sostiene Hugo, ed è una teoria affascinantissima! Ancor più bella però è stata la parte relativa alla stampa. Non so, sinceramente, se Hugo la ritenesse una cosa negativa questa supremazia dei libri di carta su quelli di pietra, io da appassionata lettrice l’ho trovato un bellissimo elogio della lettura!

Il libro sta per uccidere l’edificio.
L’invenzione della stampa è il più grande avvenimento della storia. E’ la rivoluzione madre. E’ il modo di espressione dell’umanità che si rinnova totalmente, è il pensiero umano che lascia una forma e ne prende un’altra, è il vero mutamento di pelle di quel serpente simbolico che, da Adamo in poi, rappresenta l’intelligenza.
Sotto forma di stampa il pensiero è imperituro. Diviene volatile, inafferrabile, indistruttibile: si mescola all’aria. Mentre al tempo dell’architettura si faceva montagna e occupava potentemente un secolo e un luogo, ora si fa stuolo d’uccelli, si diffonde ai quattro venti e occupa a un tempo tutti i punti dell’aria e dello spazio.
Chi non vede che in questa forma è assai più indelebile? Da solido che era, è divenuto vivente, ed è passato così dalla durata all’immortalità. Si può demolire una montagna di pietre, ma come estirpare l’ubiquità?

Nella mia ignoranza, credo che Hugo abbia ragione, perché in effetti se penso ai monumenti più belli che conosco, mi rendo conto che sono quasi tutti più vecchi della stampa. Non sono però d’accordo quando Hugo allarga il discorso dall’architettura all’arte in generale: almeno in pittura non è sicuramente così, basta solo pensare a Caravaggio! ;)

Ultima piccola noticina: all’inizio del capitolo II del Libro Quinto Hugo chiede scusa per la nuova digressione alle sue “lettrici”. Come mai? Perché questa specificazione femminile? Era convinto lo leggessero solo donne, oppure credeva che le digressioni annoiassero solo il pubblico femminile?

Un altro po’ di frasi

Divenne [Frollo] così sempre più sapiente e per conseguenza naturale, sempre più rigido come prete, sempre più triste come uomo.

Allora cominciò tra il medico e l’arcidiacono uno di quei prologhi reciprocamente laudativi che erano di prammatica a quel tempo prima di ogni conversazione tra sapienti: il che non impediva che si detestassero cordialissima mente. Del resto, anche oggi ogni bocca di sapiente che fa complimenti a un altro sapiente è un vaso di fiele spalmato di miele.

Libri VI – VII – VIII →

Gli altri commenti a questo libro sono tutti QUI.

4 pensieri riguardo “Notre-Dame de Paris – Libri III – IV – V

  1. Mi ricordo le descrizioni di Parigi… ammetto che molte mi hanno annoiata, mentre altre mi hanno emozionata moltissimo, esattamente come è successo a te :)

    Quasimodo mette davvero tristezza :( Mentre Frollo l’ho odiato subito, forse complice il fatto che lo associavo alla figura Disney ><

    Per quanto riguarda la tua ultima domanda, non saprei! Forse si rivolge alle lettrici perchè erano le donne che, per la maggior parte, leggevano i romanzi… gli uomini si occupavano più di saggi e scritti filosofici. Ma questa, ovviamente, è solo la mia interpretazione, probabilmente sbagliata XD

  2. Sei un grande..sono impazzita per trovare un commento valido a questi libri. Ho trovato proprio quello che cercavo (riferimenti all’arte nel capitolo di Frollo) …grazie mille

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