Guerra e pace – libro IV, Parte Seconda

E’ naturale che un uomo che non capisce il funzionamento di una macchina, vedendola in moto, abbia l’impressione che la parte più importante di questa macchina sia quella scheggia che vi è incidentalmente caduta e, ostacolandone il movimento, vi si dibatte. L’uomo che non conosce la struttura di una macchina non può capire che quel piccolo ingranaggio di trasmissione, che gira senza far rumore, è una delle parti più essenziali del meccanismo, e non quella scheggia che ne guasta e ostacola il funzionamento.

Nella parte di questa settimana Tolstoj si sofferma più volte a precisare quanto aveva già detto precedentemente, e cioè che i destini delle guerre e quindi delle nazioni non li decidono i grandi uomini.
E ce ne presenta diversi Tolstoj di questi piccoli ingranaggi, quasi invisibili ma essenziali.
Il conte Orlov-Denisov con i suoi cosacchi (il reparto meno importante di tutti), fu il solo a capitare nel posto giusto al momento giusto.
Questa missione – estremamente difficile e importante, come risultò in seguito – fu affidata a Dochturov, a quel modesto e piccolo Dochturov, che nessuno ci ha mai descritto intento a stendere piani di battaglia, o a galoppare alla testa di reggimenti, o a lanciare croci di guerra sulle batterie, e cose del genere; che era ritenuto da tutti un uomo indeciso e poco perspicace; quello stesso Dochturov che però durante tutte le guerre dei russi con i francesi, da Austerlitz fino al 1813, troviamo sempre ai posti di comando ovunque la situazione si faccia difficile.
[…]
E sono molti gli eroi che vengono esaltati in versi e in prosa, ma di Dochturov non si fa quasi parola.
[…]
Ma è proprio questo silenzio su Dochturov a confermarcene in modo indubbio i meriti.
E più ancora sconosciuti di questi, ci sono i soldati, anonimi, senza volto, per la Storia, ma non per noi che grazie a Tolstoj ne abbiamo conosciuti parecchi.

Nonostante questa critica all’esercito russo, sempre presente, ancora una volta i bersagli preferiti dall’ironia di Tolstoj sono i francesi:
I comandanti francesi perdettero le tracce di un esercito di sessantamila russi e, come asserisce Thiers, fu sono grazie all’abilità – e persino alla genialità – di Murat, che si riuscì a rintracciare, nemmeno si trattasse d’uno spillo, quell’esercito di sessantamila uomini.

Vorrei commentare un po’ la parte riguardante Pierre, ma non mi riesce di farlo in nessun modo se non riportando due brani.
L’eccesso delle comodità della vita distrugge ogni felicità connessa al soddisfacimento dei bisogni.
«Mi tengono prigioniero. Chi, me? Me, la mia anima immortale! Ah, ah, ah!… Ah, ah, ah!…» Rideva con le lacrime agli occhi.
[…]
Sull’immenso, sconfinato bivacco, che prima rumoreggiava per il crepitio dei fuochi e il vociare degli uomini, era calata la quiete; i fuochi rosse dei falò erano vicini a spegnersi e impallidivano. La luna piena era alta nel cielo luminoso. Le foreste e i campi, che prima erano invisibili oltre i limiti dell’accampamento, ora si scorgevano anche a grande distanza. E ancora più lontano di quelle foreste e di quei campi luminoso, ondeggiante e invitante l’orizzonte infinito. Pierre guardò il cielo e le stelle che palpitando si perdevano nelle lontananze. «E tutto questo è mio, e tutto questo è in me, e tutto questo sono io!» pensava Pierre. «E loro avrebbero catturato tutto questo e lo avrebbero rinchiuso in una baracca sbarrata da tavole!» Sorrise e andò a sdraiarsi, per dormire, fra i suoi compagni.

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